Sperimentare. Lezione 1.

And. I am back. Volevo creare un nuovo blog intitolato il diario di Acy, ma wordpress me lo ha impedito, esisto già, sono qui.

Volevo cambiare nome per scrivere del: nulla, e del, tutto. Diario, appunto. Invece, rimane la miscela Cose Turche, e spero sarà uno sguardo – mio – che possa aiutare gli altri a farsi una risata, o semplicemente a cogliere la vita mentre questa va avanti. Stiamo al passo, attenti! E’ meravigliosa!

Sperimentare. Nella lista delle cose (turche forse) senza senso che compio ogni giorno, ultimamente, senza nessun reale bisogno economico, ho cominciato a fare la babysitter, no scusate più chic – la nanny inglese, ma sono turca, però parlo inglese. Sono capitata in questa avventura per sbaglio, in realtà avevo messo un annuncio anni fa pensando che era meglio stare con un bambino piuttosto che in un ufficio. Dopo anni, qualcuno mi ha contattata, anzi tantissimi, in un attimo sono diventata richiestissima, e come spesso mi capita, ho accettato l’occasione che mi veniva offerta.

Perché? No, non c’è un perché, per regola io provo tutto. Provate anche voi. Si scoprono un sacco di cose.

Ho capito che non voglio figli.

Ho capito che cambiare il pannolino di un bambino che non è tuo è umiliante, lo è, non so perché lo è, almeno per me.

E mentre insegnavo al bambino di due anni a leggere un fumetto su Kafka, e scrivevo poesie, e poi gli cambiavo il pannolino, non a Kafka, ma al bambino, con il metodo ACY, cioè Bagno Completo, che io lo sporco a quanto pare non lo tollero, e se potessi prima di interagire con il sudicio bambino di due anni lo metterei sotto una doccia acida anti-malattie, ho capito.

Lezione 1. Sperimentare di avere un bambino: fatto.

Esito: anche, forse, non tutte sono fatte per. (scusatemi).

Diario post 1, fatto. Voglio raccontare, perché sperimentando a caso, nella mia vita succedono cose inspiegabili, e come per magia, poi scrivo. qualcosa. anche se merda.

 

Happiness. Simple word. Simplicity. All is simple.

“It’s like,
I was born yesterday

The time I was a child,
The games, the toys, the runs.
The falling and going.

It’s like,
the years.
The days. the day.

This day.

A.Y.”

I have been asked to write in another language that wasn’t Italian, obvsiously. Cose Turche was born in Italian, so I kept it that way. I do want to share much more though with more people. So these words are about the simplest things, actually the simplest thing: happiness, a day, a life, all is simple.

I was riding my bike home with a huge Ibiscus attempting to fall out. People were smiling at me, I thought how amazing that a flower can grant me so many smiles, I should always walk, ride, live with a flower in my hands.

Today is a day. Fact.

Today I am happy. Other Fact.

It wasn’t simple to get here. Also Fact.

If I can share the world that lives and lived in me, all I can say is, know that life can be like a flower riding in my basket. You just carry it around, this thing called happiness, you build it with your smiles, your hopes, your breath.

Every morning I write on my book of manifestations, I ask for things to come my way, I have dreams. I also know that my happiness doesn’t reside in accomplishing these things. My happiness is a day.

So today I wrote, simply: THANK YOU.

I racconti di Cose Turche, episodio “Lasciare Istanbul per Milano, prima che uccidano Gucci”

“Presto dentro, Presto fuori” disse Raymond Carver. Io stavo scrivendo un romanzo, mi sono annoiata e ho deciso di raccontare ancora qualche storia, ma sono convinta che vengono meglio quando le racconto di persona… nell’attesa di:

Ci troviamo in una casa silenziosa. Non sembra ci abbia mai abitato nessuno, eppure sulle pareti ci sono i volti e ritratti di una famiglia. Dicevamo che la casa è silenziosa. La casa è anche all’ombra, e tra i tanti ritratti senza denti, non perché non ne sono muniti ma solo perché non sta bene sorridere alla macchina fotografica, c’è la stampa di una città. Una città così misteriosa, che nei miei sogni è color seppia. Le finestre sono aperte e il vento entra così senza chiedere, svolazzano le tende, è l’aria del Bosforo che si fa avanti, raffredda le pareti, congela la casa e i suoi ricordi.

Sì, perché la città è Istanbul, e qui i ricordi non sono i benvenuti. Solo le foto sono importanti, specialmente per i nonni e le nonne che le usano come slideshow per raccontarti chi sei e da dove vieni, e che un tuo bisnonno ha vissuto con ben due pallottole in corpo dopo la guerra di Canakkale. Di massima importanza guardarli diritti negli occhi portando rispetto; eccoli la donna seduta sulla sedia, il marito in uniforme dietro di lei in piedi, anche se da bambino ti viene voglia di farli crepare dalle risate e passi le giornate tra un misto di reverenza camminando in punta di piedi quasi il bisnonno ti possa sgridare oppure trovarlo simpatico e immaginare che ride con te mentre disegni forme strane o racconti la cronaca delle tue giornate.

Ecco, in questa casa, dove c’è una stampa di Istanbul e una finestra aperta, c’è anche lei, là fuori, la più bella città al mondo. I suoi rumori, i venditori ambulanti, preferibilmente quelli che ti vendono l’anguria d’estate gridando KARPUZ! KARPUZ! e tu li aspetti quasi a cadere dalla tua finestra, oppure quelli che raccolgono la roba vecchia sulla loro carretta di legno e ti senti in dovere di sacrificare qualcosa e farlo rotolare dalle scale senza ammazzare l’asinello, l’asinello che tira la carretta. Perché diciamocelo come si fa a resistere a un appello come: ESKICIII!!!, tradotto, in l’uomo della roba vecchia?

Ecco, nessuno vuole la roba vecchia in casa. Tranne i nonni, loro quando invecchiano, ce li teniamo più stretti, ci manca solo che un uomo della roba vecchia ce li porti via. Impertinente Istanbul entra in casa e ne esce, dalla finestra si vede il panorama, uguale alla stampa appesa in salotto, e ci perdiamo in queste forme tondeggianti, i vortici delle strade, i venditori ambulanti e i bambini che giocano per strada, il silenzio e il chaos s’intercambiano come in ogni città orientale. E suona un campanello.

La bambina sale le scale mentre stanno scendendo dei traslocatori con i mobili, i mobili della sua casa, e la sua stampa di Istanbul dentro un cartone, e neanche a crederci, il bisnonno in foto di sbieco che la guarda senza batter ciglio. Allora sì che corre più veloce che può, entra in casa in mezzo a un via vai di pacchi e persone per trovarsi muso contro muso con la regina. La quale con uno sguardo mette le sue teorie rivoluzionarie K.O. Non le resta che rinchiudersi in camera, anche se non capisce che male ci sia a restare qui con il nonno, ma perché deve partire anche lei?

Seduta sul letto, la camera cosparsa da ritagli di notizie di giornali, una macchina da scrivere e alcune bambole con l’acconciatura sperimentale, lei (cioè la bambina) decide che se non riesce a esprimere la sua rabbia a parole, e non per mancanza di vocabolario, può sempre scrivere.

Dopo una mezzora, finalmente esce dalla stanza, ancora con su l’uniforme nero per andare a scuola e le treccine decisamente scomposte. Tira la gonna alla madre e le consegna il foglio. “Non ora, non vedi che ho tanto da fare?”. “No.” “Va bene, cos’è questo, un compito?” “No.” ” Leggiamo un po’, cosaaaa dichiarazione al diritto all’indipendenza? Non mi fare arrabbiare, cosa vorresti provare con questo?” ” Che sono un essere umano libero e ho diritto di scegliere, non voglio andare a vivere in ITALIIA!” “Hai 7 anni, quando ne avrai 18 potrai sposarti e fare quello che vuoi, ora per piacere basta con queste sciocchezze.” “Non capisci nulla, e perché mai dovrei sposarmi?” “Perché lo fanno tutte le bambine da grandi, e senza sposarti dimentica di uscire da questa casa!” “Mamma, ma ne stiamo già uscendo!” “Non fare l’insolente”.

*Nota culturale, ogni opinione propria del sesso femminile in una casa turca è classificata sotto la parola insolenza.

La notte non porta consiglio, e benché ne rimane sveglia quasi gran parte, in un batter d’occhio si fa giorno, il suo ultimo giorno a Istanbul, il suo ultimo giorno a scuola, e i ricordi riaffiorarono, dalla recita scolastica dove la bambina cicciottella fu scelta come bandiera turca perché era l’unica larga abbastanza e lei aveva cantato l’inno, a quando leggeva l’appello, in piedi, fiera accanto all’insegnante. L’inno inizia con “Non ha paura”, “Korkmaz”, e alle sette del mattino ancora insonne, guardando fuori dalla finestra il paesaggio seppia mischiato con il grigio del mare, decide che un turco non ha paura, e sicuramente non avrà paura degli ITALIANI. Ma una cosa proprio non può sopportare, ed è lasciare il nonno. E lì, il coraggio non c’entra niente.

L’odore del çay (tchai, tè) e anche il suo rumore. Il suo risveglio da ben 7 anni, nonché di tutta Costantinopoli. Chissà se poi, tutti hanno un nonno in casa che legge il giornale e ti chiede di aggiungergli dell’altro çay. E una mamma che assomiglia alla regina Maria-Antonietta, anche se vestita nella sua uniforme da hostess della Turkish Airlines, il che comunque è ridicolo date le circostanze perché oggi siamo in partenza tutti, e non penso che la mamma ci servirà le noccioline in volo.

Due parole sul nonno che legge il giornale di gusto, il nonno è un bell’uomo, un Sean Connery turco in versione elegante e anche a 76 anni, pur più rotondo e meno sexy, mantiene il suo spirito ed è capace di rallegrare un orfano in punto di morte. Il nonno non se la prende se la piccolina ritaglia i pezzi del suo amato giornale mentre le urla del padre della bambina si sentono puntualmente alle 8.45, l’ora del çay e della lettura del giornale comunista, l’unico che il padre di famiglia, agnostico e politicamente evoluto, ammette di leggere e di conseguenza nessun ritaglio è ammissibile. In casa vince chi arriva per primo, ed in genere è la bambina oppure il nonno. Bambini e nonni battono sempre tutti sulla sveglia.

L’ultima mattina a Istanbul, il papà ancora indispettito per non aver potuto leggere la prima pagina del giornale, spiega con pacato entusiasmo che gli hanno comunicato di avergli trovato una casa vicino ad un fiume che si chiama “NAviGio”, e che sarà bello poter finalmente praticare il suo italiano. Ma Mustafa, dice la mamma, Roma proprio no? Il nonno inarca le sopracciglia da dietro il giornale. E dove andiamo, chiede la bambina.

“Roma, ne ho sentito parlare, c’è l’antica Roma, ci sono i romani e vestono tutti con delle armature a gonna e delle scarpe rotte. Ma noi dove andiamo?”

“Milano”, risponde Mustafa.

“Gucci?” dice la mamma.

Vita e Scrittura passando per l’inferno girare a destra, oppure farsi legare a letto

Ho letto un’intervista a una neo-scrittrice, che tra l’altro proclama nell’intervista che le fa schifo e non le interessa esserlo (?), e sarà il giornalista, o sarà vero che l’ha detto, ad un certo punto dice “scrivo perché devo, perché non riesco a smettere”.

Che gran palla, scusatemi. IO non ci credo. Cioè, faccio fatica anche a farmi venire idee da scrivere sul mio diario, e ho una vita veramente movimentata e ilare, ma io questo fiume creativo non l’ho mai visto. Perché?

Non esiste.

Scrivere è un mestiere. A volte ti pagano, a volte no, a volte ti leggono, a volte no, a volte hai idee, a volte scrivi anche se non hai idee, è un po’ diciamo come fare la prostituta, o vai bene quel giorno, o no, o c’hai voglia, o magari mai, ti fa schifo. Non ci sono certezze. Ma tu sulla strada ti ci devi mettere e aspettare che passi la macchina.

Come ogni mestiere, un po’ lo devi scegliere e un po’ da bambini t’influenzano. Magari volevi fare il pompiere e ti hanno ripetuto incessantemente che eri bravo a scrivere, e tu idiota ci hai creduto, e non solo, hai pensato con il tuo animo fanciullesco che se ti dicono che sei bravo, A, non solo lo sei. B. ti verrà facile.

Assolutamente no dirindirina.

e in più a volte manco ti piace. me lo ha chiesto la psicologa un paio di anni fa “ma ti piace scrivere, ti diverte?” e io l’ho guardata come se fosse scesa da una locandina di Lautrec ballando il can can.

“Scusi, non capisco la domanda”

“Mentre lo fai ti diverti?”

E io “Ma dovrei?”.

O forse per la scrittrice sopra citata e per Marcel Proust che obbiettivamente non aveva un cacchio da fare tutto il giorno a letto – un po’ come la Frida Khalo che dipinge perché travolta da un tram e legata a letto pure lei – viene facile, e per noi altri mortali non imprigionati a letto no.

Ma quando ci viene qualcosa di decente, o un solo complimento fatto anche dal panettiere che magari ti legge perché gli piacciono le tue tette, TU ci credi e sei felice tutto il giorno. Creare è come drogarsi, poi cerchi costantemente quell’emozione, essere letta e complimentata. Devo essere onesta, neanche un bacio mi rende felice quanto essere letta, e dubito che amerò mai un figlio più di quello che scrivo. Sono un egocentrica di lotus.

Ecco, come ogni tossico, io sono consumata. E sono anche pazza (questo lo ripeto spesso), non solo scrivo perché mi piace, ma scrivo sempre, in ufficio, per clienti, per sto blog, un diario, poesie, racconti, intervisto persone e racconto le loro storie. Oppure esco con gli amici e loro si aspettano che io racconti storie, cosa che io faccio, e sono anche brava.

Sono consumata. Non voglio più scrivere, ma non so come altro vivere. Come si fa? Ho tutti gli effetti collaterali, insomnia, o troppa somnia, ansia, attacchi di panico, isteria, depressione, pianti, mal de vivre, euforia, iperagitazione ….. e la lista goes on. Perché? Beh l’ansia da prestazione, e a volte un occhio che non ti guarda con ammirazione, sopratutto al lavoro dove diciamo nessuno è stato istruito della tua psiche debole e del fatto che devi essere accudita come il sedere della J. Lo prima di un concerto per un banalissimo copy, ma tu in quel copy ci hai messo la tua anima, e nessun te la sta cagando.

Sempre la psicologa

“Forse dovresti dipingere? Ti diverte dipingere?”

“Io si, infatti prima d’imparare a scrivere, disegnavo fumetti”

“Ah”-

E in più, questo mestiere che ho scelto, non sono manco sicura di essere brava a scrivere ecco. Mi arrendo. Voglio essere felice, so che sono brava a fare altro, sono felice quando faccio altro, sono nata forse per fare altro, e forse i miei parenti si erano sbagliati. Non ho nulla da dire.

Ma sto anche aprendo un progetto digitale sulla poesia . stay tuned sarà fantastico. just a hint… questa foto (credits Lucrezia Testa Iannilli)

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Io voglio ascoltare. Ho capito che sono brava a sentire le persone e mi viene istintivo accoglierle nel mio abbraccio. Non sono una bestia da ufficio, non sono un attrice, non sono una cantastorie, non sono una copy, non sono un editor, non sono una traduttrice. sono io, una cosa turca che scrive cose turche.

Non ho talento, ma voglio arrivare alle persone farle sorridere e stare bene, del mio ego, francamente? Me ne infischio.

Scrivere è una prigione.

Sono qui su questa terra per amare, questa è la mia missione. Mi arrendo. Grazie universo.

Voglio fare la healer, lo hanno detto i tarocchi, e non potrei essere più d’accordo.

vabbé il blog lo continuo, è una droga, l’ho detto. e in più alla gente piaccio, pare.

Non esitate a commentare, questo post è un vero pickle.

ah. e perché non iniziare un movimento se mi taggate su instagram chiedendomi di venire nella vostra home a raccontarvi una storia,  recitare una poesia, why not, sarebbe un modern cantastorie tour. (solo sweet homes and sweet people)

instagram @milanesegirl

hashtag #coseturchelive #cantastorietour #adoptaunacy #vinowithacy

Il Tempo delle Angurie, dalla Turchia in Tango alla Balena

In transito verso le vacanze. Prima è arrivato il corpo, ha dormito a intervalli regolari, si è alzato sonnambulo per lavorare, ha nuotato per liberare l’inverno, ha fatto yoga per ricordarsi di respirare, poi ha lavorato di nuovo, e così da venerdì. A 4 giorni dalle vacanze ufficiali, prima dell’agognata modalità no mail, no consegne, no menate, sto a poco a poco facendo cadere la maschera per recuperare chi sono, vado a gradi, prima recupero il corpo, non fumo, non bevo, tiro su il sedere, poco a poco comincio a sentirmi, e a scrivere. Ogni minuto che passa allontano da me gli esseri umani- scrivo sulle stelle. Preparo sortilegi e pozioni. Sono tornata, sono la strega di Smirne.

Excerpt by Sandburg
So near you are, summer stars,
So near, strumming, strumming,
So lazy and hum-strumming.”

Cosa c’entra l’anguria? Ogni agosto è capodanno per una scrittrice turca che ha scelto di farsi prima casa e carriera, e poi ritagliarsi (non riuscendoci molto bene) tempo per vivere la vera vita, la sua verità, insomma essere me, cacchio scrivere una cosa sensata – e pubblicarla.

Pensiero:

Potrei schiattare all’apice della mia carriera senza avere mai eseguito a pieno i miei piani d’artista. E se la mia preoccupazione fosse mai stata quella di avere i soldi per pagarmi il funerale, direi anche no,  non ho problemi con la fossa comune. Non ho neppure 7 figli da mantenere, neanche questa è una scusa, di anni ne ho quasi 37, e per ora non ho incontrato un uomo con il DNA con il visto d’entrata al mio utero.

Non ho scuse. Non mi sono dedicata anima e corpo alla scrittura, ho preferito un mutuo e un CV, per carità molto ben articolato con dei momenti degni di nota, tipo quando ho intervistato Annie Lennox o la Scarlett, si lei, la Johansson. Sono una vigliacca, e ora è tempo di rimediare. Non bastano più gli intermezzi sotto i ponti o nei boschi. It’s gotta work, now, here.

Nel mio caso è la poesia, la raccolta esiste ma è multilingue (cosa che trovo molto attuale, tra interail, erasmus, globalizzazione facebook e altre confusioni culturali, un poeta deve adattarsi). Il titolo è Arrivederci Ninfea, e nel mio autismo estivo si stanno scavando nuove poesie tra angoscia e iddilio, giusto così per avere materiale. Intanto, mi mancano altri 4 giorni per preparare un vuoto creativo. Il famoso vortex.

Cosa cacchio c’entra l’anguria? Dicevo, è capodanno,  e come tutti gli anni tiro le somme e faccio nuovi progetti.

Di sogni ne ho a bizzeffe, ho anche un “bucket list” – chiamasi così dal detto hit the bucket, cioè crepare, cioè la lista delle cose da fare prima che finisci nel secchio, ovvero smetti di esistere- e si sta accorciando sempre di più, sia per saggezza buddista (la felicità è dentro di noi, bla bla, i desideri bla bla) o perché da un anno ho la netta sensazione che non vivrò molto, ergo impazzita sto scrivendo anche un testamento di notte.

Vorrei, se possibile, manternermi in vita almeno finché ho sperimentato:

A. l’ebrezza di vedere una mia raccolta di poesie in libreria. B. avere conosciuto, no perché di solito mi saluta e basta, l’amore vero totalizzante da strapparsi le vene. e C. no mi accontento di queste due, in ordine d’importanza.

L’anno scorso l’anguria la mangiavo con il nonno di nascosto dalla mamma, donna che ama l’ordine, e l’anguria a quanto pare porta disordine in cucina. Da sottolineare che l’anguria è una delle mie cose preferite al mondo, e non solo perché la mangiavo con il nonno. Ecco quest’anno niente anguria.

Niente follie di viaggi, niente 2014 e la mia vita nei boschi in una roulette anni 70 con tanto di anima gemella inglese a condividere tramonti e alba. Niente vagabondaggi e anti-materialismi, nessuna vera avventura pianificata, tranne un tentativo. E un’estate senza anguria. Cosa mi aspetta?

… Milano, fino a Natale c’est ça. La speranza si mischia a morte dentro, l’idea del cubicolo milanese castra la mia selvaggia natura, ma ho una sfida segreta, e la mantengo.

Vorrei tanto una sorpresa, un po’ di magia, una serenata sotto casa, non mi capita da un po’. Sorpresa, ti aspetto, e portami anche una cacchio di anguria.

In transito verso il periodo più riflessivo dell’anno, agosto, quello che precede l’attuare, quello che bastisce scritti e idee, amori e desideri (tra una nuotata, serata pazza tra amici turchi, e l’ombrellone, uno non può altro che fantasticare come una dama inglese dell’ottocento che vede per la prima volta carne maschile del mediterraneo in uno di quei viaggi verso l’Italia, così di moda ai tempi – ok leggo troppo Henry James);

Ecco la mia bucket list ridotta alla top ten dei top of the top, dai la vita è breve e non c’è tempo da perdere.

Poi magari andiamo a scrivere i nostri sogni sui muri di Milano come già fanno in California con il progetto “Before I die I want to…..” e io, tu, noi, tutti insieme a taggare sui muri della città i nostri sogni italiani-o-italoimmigrati.

Ok Before I die I want to…,

1. Vedere una balena.

2. Pubblicare un libro, che verrà amato.

3. Concerto per Pianoforte N°2 di Rachmaninoff dal vivo.

4. L’aurora borealis abbracciata (a. si spera un uomo meraviglioso) .

5. Andare al Fringe, con poi una capatina all’isola di Skye.

6. Mangiare l’anguria tutte le estati.

7. Mangiare l’anguria facendo tanto casino e sgocciolando in giro per la casa con – però su questo mi sono già messa l’anima in pace, se non sarà fa nulla – con i miei figli.

8. Ballare Tango a Buenos Aires.

9. Vivere a New York, one last time.

10. (non si può dire, questo qui è segreto segreto)

e se proprio non ce la farò a fare tutto, quest’estate ho un solo sogno nel cassetto, quello che però rischia di mandarmi direttamente nel bucket proprio per la sua straziante ricerca.  E avete indovinato, è la numero 10. shhhhhhh. silenzio, ciak, vita, azione.

Domani lumo il fruttivendolo.

Il Senso della Vita, dai alla fine si cerca

Che titolone, più che altro fa pensare al peso della vita. Ogni partenza, movimento, mezzo di trasporto, (sì anche due fermate di metro), attivano sempre in me questa ricerca, mi si chiariscono le idee, e sulla metro ho scritto delle gran belle poesie. (così per positive reinforcement)

Non belle come questa all-time preferita di Walcott, qui una strofa.

“The time will come
when, with elation,
you will greet yourself arriving
at your own door, in your own mirror,
and each will smile at the other’s welcome..”

Il senso della vita in un verso. Ricerca del senso nel movimento, il mio brain-shaker, se non mi muovo fatico a riflettere. Tra po’ mi aspettano in ordine, un autobus, un treno, un aereo e una macchina, e poi la mia casa, il mio mare, i miei tre gradini dalla cucina all’acqua salata.

Poi la mia camera, che è poi diventata quella di mio nonno, e che quest’anno tornerà ad essere mia, perché lui ecco, lui che proprio del senso della vita mi ha insegnato tutto, non c’è più. So già che mi metterò a piangere di notte ascoltando le cicale.

Ma tra i miei viaggi (costanti, ossessivi) per capire – a limite del, se mi metti in difficoltà prendo un aereo per capire come risponderti, perché sono lenta, ho bisogno di distanza per analizzare – e gli insegnamenti regalati, poesie lette, eccetera eccetera, ecco la listina mini-5 di quello che della vita ho raggruppato negli anni, e un’altra volta si può anche approfondire, ma son di fretta, causa partenza:

1. Riprendendo Walcott, la vita è proprio questo, la ricerca di sé stessi, comprendere e accettare . Quindi, bisogna amare e approfondire la conoscenza di sé. Noi tutti unici esseri meravigliosi dell’universo.

2. Ridere. Questo io l’ho imparato dal nonno che anche in ospedale scherzava di continuo. A lui ho promesso di essere allegra, e ho messo via le treccine da mercoledì addams e il broncio. E amo il suono di una risata, non è la cosa più bellllissssimisssima al mondo?

3. Non avere paura. Tutto può capitare, l’importante è essere liberi nel cuore, ti possono togliere tutto, ma non il cuore. Se hai paura, crea spazio, lì proprio lì.

4. Tutto dipende da noi, per quanto new age possa sembrare, se io credo una cosa questa si avvera. La magia esiste, quindi se tu pensi che una cosa non è possibile, non lo sarà mai. Non è meglio pensare che tutto è possibile? Che sarai felice? Che avrai tutto nella vita, successo, amore, tutto tutto, perché non pensare cose fantastiche? Provare per credere, a me capita spesso di fare qualche magia. Parimpampoum. (e anche rimanere sempre un po’ bambini)

5. Ricordarsi che siamo delle anime in viaggio (appunto), quello che è ora, questo secondo, forse non è neanche, quindi perché non viverlo con leggerezza tipo piuma?

Ho anche capito che la vita è eterna. Quello che non ho ancora capito, e che cercherò nelle poesie (idee?) è:

Ma questo amore che si prova per le persone è vero che rimane sempre sempre nel cuore, forse ancora di più ora che non riesco a vederlo, ma  – anche se c’incontreremo in altre forme e altre vite – come posso accettare il dolore che lui non sarà più lui, e io non sarò più io.

E questo, un po’ è difficile da capire. Ma forse non importa? Che non siamo, di fondo nessuno, perché siamo tutto e saremo sempre tutto, tipo l’universo?

Il senso forse è che non c’è senso, siamo importanti perché siamo veicoli di energia, ma siamo anche fluidi, leggeri, non siamo massa, siamo piccole stelle cadenti. Abbiamo un secondo per brillare, tanto tanto tanto.

quello che rimane, è l’amore, quello che abbiamo generato.

e come diceva mio nonno, nella vita non importa tutto questo tuo da farti Açelya, per essere qualcuno, ama e basta.

Se il mio Cuore fosse un Post

Il post del sabato, è diventato quello della domenica. Causa grandi casini, auto-inflizioni, esaurimenti (di varia natura), perdita di lucidità, e tantissimi momenti di “cosa stavo facendo?”, “vivere, hmm, non so più dove sono”, in aggiunta alla mia isteria, una cosa alla quale non avevo mai dato sfogo prima, e spero non mi ricapiti più, se no vado ad internarmi io direttamente all’asylum. Mi scuso con chiunque abbia avuto a che fare con me questa settimana. E che noia, sì non so se questo post è quello che fa ridere.

Ecco, a voi è mai capitato di non esserci? Non so se è perché sono sempre, da quando sono nata, dappertutto, senza una radice. A volte mi fermo per strada, in casa, a cena (anche se vi sto parlando), e cerco di mettere a fuoco dove sono e se ci sono.

Ma chissene, direte. No, questo fuggire dal corpo e poi fare fatica a tornarci, credo sia connesso al voler scrivere. Se non scrivo, ergo non sono. Se vedo parole, vedo vita, forse mi sento qui, forse. E tutto questo ci porta alla faccenda del cuore, organo che ho scoperto da poco, e per dirindirina, fa boom boom.

Sicuramente perché io da lì non ci voglio passare, dal petto, là sì dove c’è il cuore che pensavo servisse solo a pompare sangue. Poi ultimamente, la scoperta.

The Heart asks Pleasure First.

Uno dei miei spartiti preferiti da suonare al piano, forse perché è una cosa che mi è totalmente estranea; me che sono tutta testa e tanta timida dolcezza incapacità stato meravigliamento impossibilità a comunicare sentimenti e orgoglio scambiato per molte altre cose. Quando suono, io sento lì il tutto, quando scrivo, quando vi guardo da lontano, quando ballo, osservo la vita, ecco in quel momento nel mio cuore c’è l’universo.

La mia massaggiatrice, sì ne ho una, è un esperimento tantrico che un guru-coach mi ha detto di provare giusto per sentire il contatto con il mio corpo, perchè ecco, lo dice pure lui io vivo dalla testa in su, e il piacere lo rifuggo, diventata amica, non che psicologa, nonché la mia grande supporter e sostegno, si è messa in testa che io questo cuore lo devo sciogliere nella vita, si quella reale.

Ma ecco come fate voi umani a sopportare le emozioni?

L’altra sera ho avuto un accenno di tachicardia, all’inizio pensavo che era solo il fisico, il caldo, lo stress (il mio medico curante dice che ogni cosa è stress e questa mi stressa), ma era lui, il mio cuore, ha fatto boom boom.

La cosa più sconvolgente al mondo, ora però, come fanno i bambini che iniziano a camminare, io vado cauta, e mi prendo il mio tempo per imparare a conoscerlo.

E mai frase che ricordo dai tempi del liceo, anzi l’unica che ricordo probabilmente dal corso inutilissimo di filosofia con Monsieur Ponse che altro che aprirmi il cuore tirava il peggio dell’adolescente dark e ribelle che ero,  fù più adatta

“Il cuore ha le sue prigioni che l’intelligenza non apre” (Blaise Pascal)

La sfida è aperta, cercherò di essere un po’ più stupida.
Nota Finale:
*Ringrazio tutti gli umani che ho incrociato nella mia vita, quelli che hanno capito la mia prigione, ne hanno accarezzato le sbarre, teso la mano con delicatezza, detto quello che io non riesco a dire, ecco non lo saprete mai, ma solo al pensiero cola dentro di me un fiume di emozioni talmente potente, che il ricordo di un abbraccio al momento giusto, è così forte, mi strapperei il cuore con un coltello, è troppo.