Una Poetessa Nuda a Milano

Hot caldo Hot. E m’intendo di SEO, e il primo post lo intitolo così, ma è anche vero, sono tornata a casa, fiondata in doccia, e scrivo nuda. Perché fa caldo.

Anche il primo post, ma il caldo aiuta a superare l’ansia da prestazione, e m’impedisce anche di uscire. Meglio, devo scrivere. Il contenitore Le Cose Turche deve crescere e entrare nelle vostre case (vengo di persona), bar (porto i musicisti), librerie (scrivo e leggo anche cose intelligenti), e anche why not: piscine, campagne, terrazzi. Fa caldo, l’ho già detto. Sono nuda, lo ridico perché visto che il mio blog non è indicizzato e sono poco nerd per capire perché, ci provo, a rischio di attrarre lettori di una certa specie.

Non è solo un mondo di cavolate, ecco l’estate è altro, è

So much Summer
Me for showing
Illegitimate —
Would a Smile’s minute bestowing
Too exorbitant

Dice Emily Dickinson,

e vorrei, esorbitante così, cominciare a scrivere sudando. Non vado lì, dove ci sono loro, gli altri. Rimango qui, e ricordo le estati calde d’Istanbul, mia nonna affannata tra una doccia gelata e l’altra, e noi a guardare il Bosforo dal balcone e contare le navi passare. Ero bambina. Ora a Milano, aspetto the illegitimate showing, come Emily, io mi aspetto, da donna, la sensualità dell’estate. Venerdì 17, buon inizio?

Cose Scomode. Il Lutto. NO Leggi, non scappare.Come affrontare un lutto. Smiley.

OK. Ne abbiamo bisogni tutti. Di cosa? Di un post allegro, o quasi, sul lutto. Tutte che parlano di fashion, gravidanze, diete, o altro, ma un post sul lutto? AH! Trovatemelo. Forse in America, lì parlano di tutto, amen la Free Press, pree Trump, maybe. Non so. No comment.

Come affrontare un lutto.

Ecco, dipende da dove vivi. Uno.

Se sei in the USA, fai un ricevimento, bevi, ascolti storie sanatorie. Se sei in Sicilia (credo che) hai donne pagate per piangere dietro il defunto, se sei al Nord lo seppellisci e amen, da buon protestante vai avanti con il tuo lavoro terreno.

Grazie Acy, che bell’argomento!

Sì. La vita è la morte, nel senso che una esiste nell’altra, quindi immancabilmente la morte ha un influenza sulla vita.

A. come la vivi

Non c’è un B, o un C. Senza la morte la vita non esisterebbe. Come quando butti un divano vecchio per comprarne uno nuovo, tipo.

Allora, facciamo pace con:

La prima volta che ho capito si morisse, avevo all’incirca dieci anni ed ero al mare, era morto il nonno di un amico. Non era tanto il fatto che fosse morto che mi creò disagio ma quanto il fatto che il suo corpo fosse ancora in casa per un paio di giorni e il mio amico sembrava da piccolo ometto qual era ai tempi, disarmato davanti ad una sofferenza reale, palpabile.

Io non ho mai visto un corpo, morto.

Ho scoperto che mia nonna è morta, su Facebook.

Ero preparata, perché era malata di alzheimer, ma prima ancora di essere malata, lei un crepuscolo mi ha presa per mano, portata nella sua stanza, e detto:

ho sempre guardato l’alba da questa stanza.

ho paura di morire.

Allora, lì. ho capito, che nonna non voleva esserci nel momento del trapasso, e aveva scelto l’alzheimer.

Ero triste di averlo scoperto via Facebook, ma non perché era morta e non l’avrei più vista, perché mi ero preparata, ma perché mi ero sentita tanto sola nel lutto, e ci vorrebbe un manuale di come comportarsi nei casi di lutto, tipo abbraccia i tuoi famigliari, o per lo meno fagli una telefonata.

Il mio cuore aveva perso, tanto. Ma ero diventata buddista, e un pochino capivo la vita e la morte.

Quando una notte nella campagna inglese, nella notte di Halloween, dove si dice gli esseri che sono a ritmo con l’universo abbandonino la terra, è mancato mio nonno, io dopo giorni di raschiare foglie morte dalla terra, avevo capito il ciclo della vita, e il principio fondamentale del: quel che non si vede più c’è ancora, e germoglierà. E germogliava dentro di me questa vita immensa, la sua, da portare avanti.

Mille voli e di più per arrivare alla moschea. Anche se non siamo credenti, ma se vuoi mettere qualcuno sottoterra non hai altra scelta, almeno a Istanbul. Mia madre che pesava 40 kg, e mendicanti, quelli che di solito si presentano ai funerali delle moschee, a prenderle migliaia di euro che lei dava persa nel lutto del dolore.

Una forza che non avrei mai creduto avere.

Il corpo di mio nonno che cade, dentro la fossa, perché da noi non si usa la bara, ma un lenzuolo avvolto attorno al corpo. E la sera sono uscita a festeggiare la vita.

Il lutto?

Cos’è il lutto? Questa cosa che accade, e deve accadere, con i suoi tempi.

Un saggio mi ha detto, ti manca il ruolo che aveva questa persona nella tua vita.

HO letto su un sito che il lutto dura due anni.

Forse è vero. Sono passati due anni, e forse ho fatto la pace con un passato con mio nonno.

Lui è qui. Dentro. La persona più importante della mia vita. Lui, che negli ultimi mesi era rilegato a una poltrona, e io facevo un’ora mezza di yoga davanti a lui perché lo divertiva non potendo più leggere o guardare la tele. Lui con il suo sguardo orgoglioso, davanti a me che ero forte e bella.

Cos’è il lutto. Dovremmo condividere di più questo argomento scomodo. IO ero in lutto, forse lo sono ancora. Se qualcuno mi avesse abbracciato, sarei stata meglio, ma da sola, in questo argomento scomodo, ho trovato ragioni di vita, gli insegnamenti, e lo sguardo di mio nonno:

  1. Trovare sempre un motivo per amare la vita. (anche dopo avere perso mia nonna, lui l’amava la vita)
  2. Essere sempre attenti agli altri. (nonostante le sue pene, la sua malattia, lui aveva sempre tempo per parlare con tutti e chiedere delle loro vicissitudini)
  3. Creare una vita meravigliosa. (lui, da bambino orfano, senza niente, era riuscito a diventare un uomo che andava in vacanza con il presidente della repubblica, e innumerevoli sono i ragazzi che hanno potuto andare a scuola grazie al suo aiuto)

Il Lutto? Crea nuova forza, un’incredibile forza, ed è un argomento essenziale, perché come dice Ikeda per capire la vita bisogna capire la morte.

Con tutto il cuore,

Acy

Sperimentare. Lezione 1.

And. I am back. Volevo creare un nuovo blog intitolato il diario di Acy, ma wordpress me lo ha impedito, esisto già, sono qui.

Volevo cambiare nome per scrivere del: nulla, e del, tutto. Diario, appunto. Invece, rimane la miscela Cose Turche, e spero sarà uno sguardo – mio – che possa aiutare gli altri a farsi una risata, o semplicemente a cogliere la vita mentre questa va avanti. Stiamo al passo, attenti! E’ meravigliosa!

Sperimentare. Nella lista delle cose (turche forse) senza senso che compio ogni giorno, ultimamente, senza nessun reale bisogno economico, ho cominciato a fare la babysitter, no scusate più chic – la nanny inglese, ma sono turca, però parlo inglese. Sono capitata in questa avventura per sbaglio, in realtà avevo messo un annuncio anni fa pensando che era meglio stare con un bambino piuttosto che in un ufficio. Dopo anni, qualcuno mi ha contattata, anzi tantissimi, in un attimo sono diventata richiestissima, e come spesso mi capita, ho accettato l’occasione che mi veniva offerta.

Perché? No, non c’è un perché, per regola io provo tutto. Provate anche voi. Si scoprono un sacco di cose.

Ho capito che non voglio figli.

Ho capito che cambiare il pannolino di un bambino che non è tuo è umiliante, lo è, non so perché lo è, almeno per me.

E mentre insegnavo al bambino di due anni a leggere un fumetto su Kafka, e scrivevo poesie, e poi gli cambiavo il pannolino, non a Kafka, ma al bambino, con il metodo ACY, cioè Bagno Completo, che io lo sporco a quanto pare non lo tollero, e se potessi prima di interagire con il sudicio bambino di due anni lo metterei sotto una doccia acida anti-malattie, ho capito.

Lezione 1. Sperimentare di avere un bambino: fatto.

Esito: anche, forse, non tutte sono fatte per. (scusatemi).

Diario post 1, fatto. Voglio raccontare, perché sperimentando a caso, nella mia vita succedono cose inspiegabili, e come per magia, poi scrivo. qualcosa. anche se merda.

 

A year ago. In Glastonbury. What is freedom?

The other day. Almost a day ago, I was riding my new bike and screaming on top of my lungs: freedom. What is freedom? I had it? Where did it go? I will quote my icon Maya Angelou here:

The free bird leaps
on the back of the wind
and floats downstream
till the current ends
and dips his wings
in the orange sun rays
and dares to claim the sky.

THE ORANGE SUN RAYS. I see it the sky, it has orange sun rays. A year ago, with my small bag on my back I’ve entered the woods, I’ve met people, I’ve lived with no money, I have seen KINDNESS and HUMANITY in its pure form. It was strange to think of it all in Milan, where all of these things are so far from daily life. I am a bird, leaping, squicking, suffering, but I try to bring some of what I have learnt into this present, this life, my life, and my city.

Raking leaves all day. I have learnt that time is endless, purpose filling, life eternal, love uncommon, yet available and present.

I miss it so much I want to scream most of my days, most of the hour. Life is going on and unfolding, I have books to write, a life to live, a nest to build. I will always be raking leaves, and I can still smell the sunrise in my curly messy crazy hair.

Life is unfolding, and to all who are lost in the small adversities of life, I can only say: go, venture, smell something different, be anything you can be and then you become everything. Loose the material, see love.

It’s here, it’s coming, it did. I am forever grateful for stopping and smelling.

I miss it though, so October will be hard, the wind is blowing West. I am ready to go, but I anchor on love.

 

Happiness. Simple word. Simplicity. All is simple.

“It’s like,
I was born yesterday

The time I was a child,
The games, the toys, the runs.
The falling and going.

It’s like,
the years.
The days. the day.

This day.

A.Y.”

I have been asked to write in another language that wasn’t Italian, obvsiously. Cose Turche was born in Italian, so I kept it that way. I do want to share much more though with more people. So these words are about the simplest things, actually the simplest thing: happiness, a day, a life, all is simple.

I was riding my bike home with a huge Ibiscus attempting to fall out. People were smiling at me, I thought how amazing that a flower can grant me so many smiles, I should always walk, ride, live with a flower in my hands.

Today is a day. Fact.

Today I am happy. Other Fact.

It wasn’t simple to get here. Also Fact.

If I can share the world that lives and lived in me, all I can say is, know that life can be like a flower riding in my basket. You just carry it around, this thing called happiness, you build it with your smiles, your hopes, your breath.

Every morning I write on my book of manifestations, I ask for things to come my way, I have dreams. I also know that my happiness doesn’t reside in accomplishing these things. My happiness is a day.

So today I wrote, simply: THANK YOU.

Ossa di Istanbul. Racconto Cose Turche.

“Correte, correte, venite a vedere!”, grida Mustafa.

Io non vado mai fuori durante la ricreazione. Ho un anno in meno degli altri bambini e ho paura di farmi spiaccicare a terra mentre corrono tutti fuori da quella unica porta, tanto stretta. Una porta dalla quale, in situazione regolare, si dovrebbe passare in fila uno per uno. Due volte all’anno, come per magia, quando arriva l’infermiera con il vaccino dello stato, i bambini creano una fila, ma questa è l’eccezione; quindi sto seduta al mio banco. E la cosa non mi dispiace.

Ma quel giorno, Mustafa e gli altri bambini insistono a chiamarmi fuori. Titubante guardo la maestra. Mi piace stare lì a fare i compiti mentre lei è seduta alla sua scrivania. Mi piace il silenzio. La curiosità non mi appartiene, e non voglio uscire fuori in cortile. Mustafa mi guarda con occhi geniali. Neanche dire di no mi appartiene, credo sia poco educato.

Allora mi alzo, sistemo il mio grembiule nero, stringo le mie trecce. E seguo il mio compagno di classe là dove sono già radunati altri bambini, nel cortile di dietro.

Mi accolgono nella cerchia. Ricordo che la luce, è tanto color terra. Il bianco invece, delle ossa trovate sepolte.

Ne siamo sicuri è stato il bidello. Ha sempre un’aria così sinistra.

Il mistero e la paura ci trasformano in migliori amici per un’ora. Immaginiamo che sia accaduto di notte. Il delitto. Il bidello deve avere portato qui la sua donna e uccisa. Non capiamo il movente e non sappiamo come dobbiamo agire. Dobbiamo avvertire la polizia? Dobbiamo dirlo alla maestra?

Dal cortile avanti, quello che dà sul cancello, un bambino urla l’inizio di una partita a pallone, chi vuol giocare si deve dare una mossa. Si sente già l’eco, un suono vuoto e plasticoso, campanellare nelle orecchie, rimbalzare a terra. E in pochi istanti, mi ritrovo sola con un’altra bambina, una cicciona che rimane con me non tanto per curiosità ma svogliatezza, e in mezzo il mucchietto di ossa.

Devo avere pensato: una storia così non l’ho mai letta né nel Cumhuriyet, né nell’Hurriyet, che è più scandalistico. Il titolo “Una bambina con le trecce e una bambina grassoccia trovano i resti di un cadavere nel cortile della scuola. Imputato il bidello”.

La bambina grassottella, mi guarda, vuole che prenda una decisione. Non so cosa fare. Era tutto più semplice quando eravamo in tanti. E ora, sola con lei, tutto mi è più nitido. Non c’è più mistero, non c’è più emozione, non c’è più la luce.

Sono solo ossa penso. Solo ossa di uno dei tanti cani randagi di questa città.

A Ritmo. Le Pause, le virgole, i punti. Quelli di sospensione.

“era un giorno. ed era un punto. da quella frase si era imposta una virgola, noi che siamo qui, dove andiamo. e s’impose il punto di domanda. non importa dissero in mille. e anche dopo la virgola, che non era un punto. in vita. si erano in vita. loro abbracciarono i punti, le virgole, i punti virgola, i trattini e i punto a capo. finchè la storia continua, non importa. disse lui. A.Y.”

Di una storia.

Di una storia, noi che siamo storia, cosa cerchiamo.

Oggi che il mio tempo è scandito da pause, penso molto al ritmo e a quanto mi sono sempre piaciuti i punti e anche le virgole, e ancora di più i punti virgola che così ben caratterizzano la mia storia, quella vissuta e quella che continuo a vivere, per lo più scrivendo parole. Ci sono le storie brevi, quelli di un banner, di un prodotto, di un cappotto, ci sono storie che diventano sceneggiature, racconti brevi, e nel mio caso, spesso poesie.

Ma poi c’è la vita, che anche lei è una storia. E lì è un susseguirsi di punti e virgola. Perché le vere interruzioni, io non ci credo. Mentre scrivo frammenti di storie, la mia scorre con pause irregolari. A volte non ricordo l’inizio della frase e seguo un mio paragrafo, e nascono capitoli che non hanno titoli. Perché dovrei scegliere un punto?

Il punto vuole dire che c’è un punto. Non è la fine, è una conclusione, forse significa che c’era un significato compiuto, finito, capito, digerito, raccolto e classificato.

Invece la vita, che ha un ritmo, è così ansiosa di alti e bassi.

Così è domenica. Un giorno a caso senza una vera storia. C’è la frase emotiva e non esistono più i verbi.

Settembre, ti scrivo una poesia. Parliamo.

La felicità.

Oggi, mamma, tu che sei più cosa turca di questo blog che si chiama Cose Turche, ti ho trascritto una poesia di Cemal Sureya: “Tanto tempo che non mi scrivi. Mandami una poesia. E’ settembre dobbiamo parlare.”

Nel mio intento, che tu da donna turca hai visto come una critica “non ci parliamo, ti trascuro”, io nella mia vicina lontananza volevo dirti “mamma, perché mi manchi, ti scrivo, ti scrivo una poesia, e si è settembre,e di settembre ti vorrei dire tante cose”.

14 giorni di settembre. Sequestri della mia persona 1, perdite di testa 1000. So che la mia vita, un giorno, sarà un calendario.

Cosa dire oggi. Lontani, e molto vicini, sono quei giorni dove il sentire era ora, anzi oggi. Ero buffa, divertente, le poesie le leggevo un po’ così. Dopo una telefonata di un’ora con il Professore, dopo tanti sentimenti, che loro non c’entrano con il Professore. Io dico, e se questo, lettori, fosse l’anno del vivere?

Questo che comincia a settembre, cadono i pesi morti, come un quaderno nuovo delle medie si aprono pagine bianche… Io lo so che passa veloce il tempo che trascorre da qui al sale.

Ma l’inverno è serietà. E sono seria quando dico, vi scrivo una poesia perché mi manchi, è settembre e ti parlo così, di felicità

Noi rimasti così

e poi lei

quella vita,

di vita era fatta lei

Sono rimasta così sospesa

correndo forse,

per lei, con lei, insieme a lei.

Io oggi

sono Settembre.

A.Y.

I racconti di Cose Turche, episodio “Lasciare Istanbul per Milano, prima che uccidano Gucci”

“Presto dentro, Presto fuori” disse Raymond Carver. Io stavo scrivendo un romanzo, mi sono annoiata e ho deciso di raccontare ancora qualche storia, ma sono convinta che vengono meglio quando le racconto di persona… nell’attesa di:

Ci troviamo in una casa silenziosa. Non sembra ci abbia mai abitato nessuno, eppure sulle pareti ci sono i volti e ritratti di una famiglia. Dicevamo che la casa è silenziosa. La casa è anche all’ombra, e tra i tanti ritratti senza denti, non perché non ne sono muniti ma solo perché non sta bene sorridere alla macchina fotografica, c’è la stampa di una città. Una città così misteriosa, che nei miei sogni è color seppia. Le finestre sono aperte e il vento entra così senza chiedere, svolazzano le tende, è l’aria del Bosforo che si fa avanti, raffredda le pareti, congela la casa e i suoi ricordi.

Sì, perché la città è Istanbul, e qui i ricordi non sono i benvenuti. Solo le foto sono importanti, specialmente per i nonni e le nonne che le usano come slideshow per raccontarti chi sei e da dove vieni, e che un tuo bisnonno ha vissuto con ben due pallottole in corpo dopo la guerra di Canakkale. Di massima importanza guardarli diritti negli occhi portando rispetto; eccoli la donna seduta sulla sedia, il marito in uniforme dietro di lei in piedi, anche se da bambino ti viene voglia di farli crepare dalle risate e passi le giornate tra un misto di reverenza camminando in punta di piedi quasi il bisnonno ti possa sgridare oppure trovarlo simpatico e immaginare che ride con te mentre disegni forme strane o racconti la cronaca delle tue giornate.

Ecco, in questa casa, dove c’è una stampa di Istanbul e una finestra aperta, c’è anche lei, là fuori, la più bella città al mondo. I suoi rumori, i venditori ambulanti, preferibilmente quelli che ti vendono l’anguria d’estate gridando KARPUZ! KARPUZ! e tu li aspetti quasi a cadere dalla tua finestra, oppure quelli che raccolgono la roba vecchia sulla loro carretta di legno e ti senti in dovere di sacrificare qualcosa e farlo rotolare dalle scale senza ammazzare l’asinello, l’asinello che tira la carretta. Perché diciamocelo come si fa a resistere a un appello come: ESKICIII!!!, tradotto, in l’uomo della roba vecchia?

Ecco, nessuno vuole la roba vecchia in casa. Tranne i nonni, loro quando invecchiano, ce li teniamo più stretti, ci manca solo che un uomo della roba vecchia ce li porti via. Impertinente Istanbul entra in casa e ne esce, dalla finestra si vede il panorama, uguale alla stampa appesa in salotto, e ci perdiamo in queste forme tondeggianti, i vortici delle strade, i venditori ambulanti e i bambini che giocano per strada, il silenzio e il chaos s’intercambiano come in ogni città orientale. E suona un campanello.

La bambina sale le scale mentre stanno scendendo dei traslocatori con i mobili, i mobili della sua casa, e la sua stampa di Istanbul dentro un cartone, e neanche a crederci, il bisnonno in foto di sbieco che la guarda senza batter ciglio. Allora sì che corre più veloce che può, entra in casa in mezzo a un via vai di pacchi e persone per trovarsi muso contro muso con la regina. La quale con uno sguardo mette le sue teorie rivoluzionarie K.O. Non le resta che rinchiudersi in camera, anche se non capisce che male ci sia a restare qui con il nonno, ma perché deve partire anche lei?

Seduta sul letto, la camera cosparsa da ritagli di notizie di giornali, una macchina da scrivere e alcune bambole con l’acconciatura sperimentale, lei (cioè la bambina) decide che se non riesce a esprimere la sua rabbia a parole, e non per mancanza di vocabolario, può sempre scrivere.

Dopo una mezzora, finalmente esce dalla stanza, ancora con su l’uniforme nero per andare a scuola e le treccine decisamente scomposte. Tira la gonna alla madre e le consegna il foglio. “Non ora, non vedi che ho tanto da fare?”. “No.” “Va bene, cos’è questo, un compito?” “No.” ” Leggiamo un po’, cosaaaa dichiarazione al diritto all’indipendenza? Non mi fare arrabbiare, cosa vorresti provare con questo?” ” Che sono un essere umano libero e ho diritto di scegliere, non voglio andare a vivere in ITALIIA!” “Hai 7 anni, quando ne avrai 18 potrai sposarti e fare quello che vuoi, ora per piacere basta con queste sciocchezze.” “Non capisci nulla, e perché mai dovrei sposarmi?” “Perché lo fanno tutte le bambine da grandi, e senza sposarti dimentica di uscire da questa casa!” “Mamma, ma ne stiamo già uscendo!” “Non fare l’insolente”.

*Nota culturale, ogni opinione propria del sesso femminile in una casa turca è classificata sotto la parola insolenza.

La notte non porta consiglio, e benché ne rimane sveglia quasi gran parte, in un batter d’occhio si fa giorno, il suo ultimo giorno a Istanbul, il suo ultimo giorno a scuola, e i ricordi riaffiorarono, dalla recita scolastica dove la bambina cicciottella fu scelta come bandiera turca perché era l’unica larga abbastanza e lei aveva cantato l’inno, a quando leggeva l’appello, in piedi, fiera accanto all’insegnante. L’inno inizia con “Non ha paura”, “Korkmaz”, e alle sette del mattino ancora insonne, guardando fuori dalla finestra il paesaggio seppia mischiato con il grigio del mare, decide che un turco non ha paura, e sicuramente non avrà paura degli ITALIANI. Ma una cosa proprio non può sopportare, ed è lasciare il nonno. E lì, il coraggio non c’entra niente.

L’odore del çay (tchai, tè) e anche il suo rumore. Il suo risveglio da ben 7 anni, nonché di tutta Costantinopoli. Chissà se poi, tutti hanno un nonno in casa che legge il giornale e ti chiede di aggiungergli dell’altro çay. E una mamma che assomiglia alla regina Maria-Antonietta, anche se vestita nella sua uniforme da hostess della Turkish Airlines, il che comunque è ridicolo date le circostanze perché oggi siamo in partenza tutti, e non penso che la mamma ci servirà le noccioline in volo.

Due parole sul nonno che legge il giornale di gusto, il nonno è un bell’uomo, un Sean Connery turco in versione elegante e anche a 76 anni, pur più rotondo e meno sexy, mantiene il suo spirito ed è capace di rallegrare un orfano in punto di morte. Il nonno non se la prende se la piccolina ritaglia i pezzi del suo amato giornale mentre le urla del padre della bambina si sentono puntualmente alle 8.45, l’ora del çay e della lettura del giornale comunista, l’unico che il padre di famiglia, agnostico e politicamente evoluto, ammette di leggere e di conseguenza nessun ritaglio è ammissibile. In casa vince chi arriva per primo, ed in genere è la bambina oppure il nonno. Bambini e nonni battono sempre tutti sulla sveglia.

L’ultima mattina a Istanbul, il papà ancora indispettito per non aver potuto leggere la prima pagina del giornale, spiega con pacato entusiasmo che gli hanno comunicato di avergli trovato una casa vicino ad un fiume che si chiama “NAviGio”, e che sarà bello poter finalmente praticare il suo italiano. Ma Mustafa, dice la mamma, Roma proprio no? Il nonno inarca le sopracciglia da dietro il giornale. E dove andiamo, chiede la bambina.

“Roma, ne ho sentito parlare, c’è l’antica Roma, ci sono i romani e vestono tutti con delle armature a gonna e delle scarpe rotte. Ma noi dove andiamo?”

“Milano”, risponde Mustafa.

“Gucci?” dice la mamma.

Vita e Scrittura passando per l’inferno girare a destra, oppure farsi legare a letto

Ho letto un’intervista a una neo-scrittrice, che tra l’altro proclama nell’intervista che le fa schifo e non le interessa esserlo (?), e sarà il giornalista, o sarà vero che l’ha detto, ad un certo punto dice “scrivo perché devo, perché non riesco a smettere”.

Che gran palla, scusatemi. IO non ci credo. Cioè, faccio fatica anche a farmi venire idee da scrivere sul mio diario, e ho una vita veramente movimentata e ilare, ma io questo fiume creativo non l’ho mai visto. Perché?

Non esiste.

Scrivere è un mestiere. A volte ti pagano, a volte no, a volte ti leggono, a volte no, a volte hai idee, a volte scrivi anche se non hai idee, è un po’ diciamo come fare la prostituta, o vai bene quel giorno, o no, o c’hai voglia, o magari mai, ti fa schifo. Non ci sono certezze. Ma tu sulla strada ti ci devi mettere e aspettare che passi la macchina.

Come ogni mestiere, un po’ lo devi scegliere e un po’ da bambini t’influenzano. Magari volevi fare il pompiere e ti hanno ripetuto incessantemente che eri bravo a scrivere, e tu idiota ci hai creduto, e non solo, hai pensato con il tuo animo fanciullesco che se ti dicono che sei bravo, A, non solo lo sei. B. ti verrà facile.

Assolutamente no dirindirina.

e in più a volte manco ti piace. me lo ha chiesto la psicologa un paio di anni fa “ma ti piace scrivere, ti diverte?” e io l’ho guardata come se fosse scesa da una locandina di Lautrec ballando il can can.

“Scusi, non capisco la domanda”

“Mentre lo fai ti diverti?”

E io “Ma dovrei?”.

O forse per la scrittrice sopra citata e per Marcel Proust che obbiettivamente non aveva un cacchio da fare tutto il giorno a letto – un po’ come la Frida Khalo che dipinge perché travolta da un tram e legata a letto pure lei – viene facile, e per noi altri mortali non imprigionati a letto no.

Ma quando ci viene qualcosa di decente, o un solo complimento fatto anche dal panettiere che magari ti legge perché gli piacciono le tue tette, TU ci credi e sei felice tutto il giorno. Creare è come drogarsi, poi cerchi costantemente quell’emozione, essere letta e complimentata. Devo essere onesta, neanche un bacio mi rende felice quanto essere letta, e dubito che amerò mai un figlio più di quello che scrivo. Sono un egocentrica di lotus.

Ecco, come ogni tossico, io sono consumata. E sono anche pazza (questo lo ripeto spesso), non solo scrivo perché mi piace, ma scrivo sempre, in ufficio, per clienti, per sto blog, un diario, poesie, racconti, intervisto persone e racconto le loro storie. Oppure esco con gli amici e loro si aspettano che io racconti storie, cosa che io faccio, e sono anche brava.

Sono consumata. Non voglio più scrivere, ma non so come altro vivere. Come si fa? Ho tutti gli effetti collaterali, insomnia, o troppa somnia, ansia, attacchi di panico, isteria, depressione, pianti, mal de vivre, euforia, iperagitazione ….. e la lista goes on. Perché? Beh l’ansia da prestazione, e a volte un occhio che non ti guarda con ammirazione, sopratutto al lavoro dove diciamo nessuno è stato istruito della tua psiche debole e del fatto che devi essere accudita come il sedere della J. Lo prima di un concerto per un banalissimo copy, ma tu in quel copy ci hai messo la tua anima, e nessun te la sta cagando.

Sempre la psicologa

“Forse dovresti dipingere? Ti diverte dipingere?”

“Io si, infatti prima d’imparare a scrivere, disegnavo fumetti”

“Ah”-

E in più, questo mestiere che ho scelto, non sono manco sicura di essere brava a scrivere ecco. Mi arrendo. Voglio essere felice, so che sono brava a fare altro, sono felice quando faccio altro, sono nata forse per fare altro, e forse i miei parenti si erano sbagliati. Non ho nulla da dire.

Ma sto anche aprendo un progetto digitale sulla poesia . stay tuned sarà fantastico. just a hint… questa foto (credits Lucrezia Testa Iannilli)

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Io voglio ascoltare. Ho capito che sono brava a sentire le persone e mi viene istintivo accoglierle nel mio abbraccio. Non sono una bestia da ufficio, non sono un attrice, non sono una cantastorie, non sono una copy, non sono un editor, non sono una traduttrice. sono io, una cosa turca che scrive cose turche.

Non ho talento, ma voglio arrivare alle persone farle sorridere e stare bene, del mio ego, francamente? Me ne infischio.

Scrivere è una prigione.

Sono qui su questa terra per amare, questa è la mia missione. Mi arrendo. Grazie universo.

Voglio fare la healer, lo hanno detto i tarocchi, e non potrei essere più d’accordo.

vabbé il blog lo continuo, è una droga, l’ho detto. e in più alla gente piaccio, pare.

Non esitate a commentare, questo post è un vero pickle.

ah. e perché non iniziare un movimento se mi taggate su instagram chiedendomi di venire nella vostra home a raccontarvi una storia,  recitare una poesia, why not, sarebbe un modern cantastorie tour. (solo sweet homes and sweet people)

instagram @milanesegirl

hashtag #coseturchelive #cantastorietour #adoptaunacy #vinowithacy

Artisti infelici alla ricerca del senso della felicità, l’analisi dell’auto-sfiga.

Ho visto un film di Woody Allen e mi sono tagliata i capelli. Tipo sono andata in bagno con le forbici e ho fatto zack.

L’arte a volte ci rende infelici, oppure noi artisti viviamo in un perenne stato di ricerca e conferma dell’ infelicità. Eppure di scrittori felici e ricchi ce ne sono, Paul Auster è un gran figo, ad esempio. Ma poi esiste il mito, la povertà, il dramma, l’alcolismo, l’autoflagellazione, la disperazione, l’incapacità di amare, prigioni che creano qualcosa, un metodo creativo, per lo meno.

Certo è forse più interessante leggere che un poeta ha scritto sotto i ponti e quella poesia, si quella che ci tocca e sappiamo a memoria, l’ha proprio scritta quando ha perso la sua amata più ricca, stronza, e senza cuore, e si è buttato nel fiume sancita l’ultima parola quasi illegibile dal suo tremolio, angst di vita.

In verità si stava fumando un sigaro dopo avere contato i suoi bei soldoni e avere messo a letto i suoi cinque bambini, attraversato la sua villa gigantesca con piscina per fare sesso con sua moglie, una figa pazzezca, dolce, intelligente, sensuale, brava cuoca, eccetera eccetera. Ecco, forse la sua poesia ci sarebbe piaciuta meno.

Ed è anche vero che Isabel Allende era poco credibile finché non ha avuto un dramma personale. Tutta quella felicità in California la qualificava da scrittrice di romanzo Harmony, eppure La Casa de los Espiritus è uno dei miei libri preferiti, e non me ne vergogno.

Ragione per la quale io stessa mi dedico all’arte dell’autodistruzione da anni. Un anno fa però, mi si è accesa una lampadina, si chiamava Murakami. Ci sto pensando in questi giorni mentre leggo la sua raccolta Uomini senza Donne. Murakami pur amico di Carver, è sostanzialmente diverso, va a correre, è disciplinato, non penso faccia le 5 al bar a bere saké per intenderci. Anche vero però, che solo in due dei suoi romanzi sento sento profondamente qualcosa, credo che ci sia la sua sofferenza dietro. (a voi indovinare). Il resto è ben scritto, anzi favoloso, ma non so descrivere quello che non provo, non provo e basta.

Sono due settimane, /erano fino a ieri sera, che ho sperimentato una vita sana, ordinata, sportiva, riflessiva, una ricerca inversa, quella della felicità.

Sono stata programmata al sensazionalismo, ho imparato a leggere con il giornale Hurriyet, e di solito i titoli di prima pagina erano (sono ancora): “Uomo butta la moglie del 7mo piano perché lo tradiva con la pecora”. “Ancora 5 soldati morti al fronte”. C’è sempre un fronte in Turchia, muore sempre qualcuno, e ancora ad oggi se esco e dico mamma ci vediamo dopo, lei risponde: Insallah.

Ma insallah un corno. Ho bisogno di certezze, e vorrei capire se si può essere felici e creare qualcosa che tocchi gli altri. O la felicità è un piattissimo libro self-help, di quelli che ti fanno venire l’ansia – simile a quando mi trovo attorno a faccine yoga in un seminario super felice di Om shanti shanti, yoga world?

Ecco, ad un artista la felicità puzza come un merluzzo di vetro di Murano.

In questi giorni ho fatto una lista mentale di artisti, musicisti, scrittori, fotografi che conosco, li ho divisi in due categorie: amici persi, amici ordinati. Ho cercato di capire il valore aggiunto alla loro arte dal loro modus operandi di vita.

Mi è venuto in mente Pamuk, si quell’antipaticone che ho conosciuto a NYU e ancora sfido in testa, un giorno lo batterò. Vabbé Nobel o no, mi sta antipatico, anzi io il Nobel lo rifiuterei perché poi dietro c’è …

Mi è venuto in mente perché nei suoi scritti sento un disagio umano, coglie perfettamente i meccanismi. Meccanicamente astuto. Ma manca manca sempre qualcosa, forse essersi lasciato andare un po’, avere accettato di essere umano oltre che artista, avere ceduto un attimo il suo ego all’amore della vita, e dell’amore. La mancanza di modestà e coraggio si vede, si vede nei libri, in come recitano gli attori, si sente nella musica, se non vivi veramente non puoi raggiungere lo spettatore, è tutto artefatto.

La felicità è umana, e se non la si conosce, non si può capire l’infelicità. L’infelicità diventa monotona e crea sempre le stesse cose, invece la creatività deve essere totale, deve racchiudere tutto, le serate a bere il saké fino alle sei del mattino, o i mesi sabbatici ad ascoltare le cicale facendo yoga (senza sorridere miraccomando che mi viene ansia) sul terrazzo.

Ecco mentre respiro – si a yoga è tipo la cosa più importante – sento la mia di umanità, capisco cosa mi manca. Come respirate dice molto di voi, a me manca l’arresa, e sto imparando a dare dolcezza al mio respiro.

Ma stamattina ho bigiato, ho scritto un post invece di seguire la mia solita routine – Murakami tu che corri ogni giorno un’ora alla stessa ora non giudicarmi – e nonostante i sensi di colpa e la vocina interna che mi dice salti un giorno rovini la disciplina, penso anche che presto potrei finire sui titoli di giornale pur io

“Ragazza caduta dal terrazzo mentre faceva yoga, aveva un sogno scrivere poesie. Peccato”

e mi do pace, oggi va così, sweet sweetness.

spiegata anche la foto di copertina.